- lunedì 17 gennaio 2011

Walter Ruttmann BERLIN: SYMPHONIE EINER GROßSTADT 1927

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Regia e montaggio: Walter Ruttmann. Sceneggiatura: W. Ruttmann, Carl Mayer, Kerl Freund. Germania, 1927, b/n, 70’, muto.

"Al contrario dei film realizzati finora, in cui ho dato movimento a pure forme ornamentali", dichiara Ruttmann a proposito del film, "in questo caso saranno le cose del nostro ambiente, a tutti note, a essere concentrate in una successione drammatica e a fornire nel loro insieme la sinfonia della metropoli — senza che ci sia nessun legame con una trama di tipo teatrale." Egli considerava tra i fattori più importanti del film: "1. Attuazione conseguente delle esigenze ritmico-musicali del cinema, in quanto il cinema è organizzazione ritmica del tempo attraverso mezzi ottici. 2. Rifiuto conseguente del teatro filmato. 3. Niente messa in scena!Eventi e persone sono stati colti ‘di nascosto’.È grazie a questa convinzione di ‘non sentirsi osservati’ che si è creata la spontaneità nelle espressioni. 4. Ogni evento è eloquente per se stesso — dunque: niente didascalie!"

“Una giornata a Berlino in un giorno feriale qualsiasi, dalla vuota calma dell’alba all’agitazione febbrile della sera, attraverso l’attività ordinata e fattiva del giorno. Lontani sia dai propositi turistici sia da intenti sociali, girando tutto in esterni e a luci naturali, Ruttmann e i suoi operatori (Karl Freund e altri) filmano con occhio naturale la realtà colta in flagrante che al montaggio viene atomizzata in momenti di quotidianità, depurati da ogni significato psicologico o sociale, ridotti a ‘puri arabeschi di movimento’ (S. Kracauer).
In sintonia con le musiche di Edmund Meisel, questi frammenti tendono a essere una sinfonia visiva vicina più agli esperimenti del cinema astratto che a quelli di Vertov
Carl Meyer, autore del soggetto, si dissociò dal film che giudicava troppo impersonale e meccanico”.
( Laura, Luisa e Morando Morandini, Dizionario dei film 1999, Zanichelli)

Il film “si apre con una breve introduzione (sempre citata per i suoi caratteri più appariscenti).
A immagini della superficie dell’acqua appena increspata, seguono motivi grafici orizzontali dinamici, cui si sovrappongono forme rotonde e quadrangolari e quindi due barre diagonali in movimento che si convertono infine nelle sbarre di un passaggio a livello. Il senso dell’attacco è evidente. Il film proclama la propria continuità rispetto alle esperienze nel campo del cinema astratto, [ma propone anche] l’opposizione tra geometria e natura, tra organico e inorganico, in cui l’elemento dell’onda, accostato sovente a quello dell’ala e del volo era sempre stato coinvolto.
Il prologo successivo (il viaggio verso Berlino di uno dei tanti treni che, all’alba, raggiungono la città) sviluppa nella maniera più esplicita il programma di orientamento (sia percettivo, sia organizzativo) della realtà secondo parametri e relazioni formali: i binari come rette parallele, un gruppo di cavi elettrici come fascio di linee, la struttura metallica di un ponte come reticolo geometrico.
È la velocità il movimento del treno, che determina l’emergere di tali caratteristiche e il trattamento della velocità e del movimento è un altro degli aspetti protagonisti di tale passaggio: a livello tematico (la rappresentazione di una realtà dai fortissimi tratti dinamici) e al tempo stesso linguistico (attraverso le risorse del linguaggio cinematografico – sostanzialmente attraverso l’uso del montaggio ritmico).
Sul piano tematico si impone inoltre, mediante le forme e il dinamismo della locomotiva, una delle macchine-simbolo delle avanguardie (e di quelle cinematografiche), la centralità della tecnica, la sua piena autonomia e il suo ruolo modello nella vita sociale (essa appare totalmente autosufficiente, ogni presenza umana è rimossa) (…)”
(Leonardo Quaresima, Astrazione e romanticismo. Walter Ruttmann e la mobilità del moderno, in Walter Ruttmann. Cinema, pittura, ars acustica, a cura di Leonardo Quaresima, Manfrini Editori, 1994)

La città di Berlino nel cinema di Ruttmann e di Wenders di Claudia Lamberti

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